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Data

23 Feb 2015

Ora

9:30

Progetto

Con gli occhi del cinema

Proiezione del film “DISCONNECT”di Henry Alex Rubin e successivo incontro/dibattito con il Professor Federico Tonioni, dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli e coordinatore dell’Ambulatorio Internet Addiction Disorders del Policlinico Gemelli.

Regia: Henry Alex Rubin
Sceneggiatura: Andrew Stern
Produzione: USA – 2012 – Drammatico
Interpreti: Alexander Skarsgård, Max Thieriot, Jason Bateman, Frank Grillo, Hope Davis

Storie di solitudini umane che il caso e la rete virtuale mette in connessione. Una riflessione sul ruolo dominante e pervasivo della tecnologia. In una voluta citazione di Crash di Paul Haggis le vite umane, si incontrano e scontrano con pochi sprazzi di consapevolezza. La rete è sempre più una rete che intrappola tra le sue maglie.

«Sulla rete ogni inganno è possibile»: questa è la frase che campeggia nel trailer del film. Un ragazzino solo e introverso rimane vittima del cyberbullismo, un detective scopre che il “bullo” è suo figlio che, tramite un profilo falso di Facebook, si prende gioco del compagno. Una donna intrattiene un rapporto con un uomo “virtuale” e viene scoperta dal marito. Un avvocato di grido non riesce a staccarsi dal cellulare e non vede quel che accade in casa sua, ai suoi figli. Una giornalista conosce un ragazzo che si vende sulle videochat insieme ad altri minorenni e pensa di “usarlo” per fare successo. Tutte queste storie, che nel film finiscono per intrecciarsi tra loro, mostrano come la rete possa spesso trasformarsi in una trappola e attirare dentro di sé la vita delle persone.

«Disconnect: un nuovo film che suona come un allarme per le nostre vite iperconnesse», così Arianna Huffington lo aveva presentato a marzo del 2013. E aveva ripreso una frase del regista:

«Non ho voluto affrontare questo tema con teorie o polemiche. Ho voluto semplicemente rappresentare la realtà. Come se fosse un documentario».

È proprio dall’osservazione della realtà che nasce il film. «Disconnect parla del bisogno di comunicare che tutti hanno, che lo si faccia tramite un computer, uno smartphone o semplicemente in maniera diretta con la persona che si ha di fronte: poiché moltissime persone hanno scelto di vivere principalmente online (scambiandosi messaggi, tweet ed e-mail) la comunicazione e la reale interazione umana sono diventate sempre meno importanti e frequenti. Questo è il tema del film», ha affermato lo sceneggiatore Andrew Stern.

«Ho scritto la sceneggiatura dopo essermi reso conto di come oggi molta gente, durante pranzi o cene, tenga telefonini, tablet etc. sul tavolo e non smetta mai di usarli anche mentre mangia: le persone sono lì tutte insieme ma stranamente non sono presenti le une con le altre. Nel film ho incrociato varie storie che raccontano come la tecnologia che ci unisce in rete, può molto spesso scollegarci nella e dalla vita di tutti i giorni».

www.huffingtonpost.it

Henry Alex Rubin ha studiato cinema alla Phillips Academy e alla Columbia University. Figlio del noto storico dell’arte James H. Rubin, ha trascorso la sua vita tra l’Europa e gli Stati Uniti. Rubin ha esordito con il film Who is Henry Jaglom? e ha poi diretto la seconda unità in diversi film di James Mangold, tra cui Cop Land e Ragazze interrotte. Ha co-diretto il documentario Murderball con Dana Adam Shapiro (Premio del Pubblico al Sundance Film Festival e nominato per un Academy Award come Miglior Documentario) ed è stato regista di diversi spot pubblicitari di Smuggler, per marchi come Adidas , Volvo , Samsung , AT & T e Coca Cola.

«Scollegatevi e tornate a vivere»

è l’invito-provocazione del regista americano Henry- Alex Rubin, 37 anni, già candidato agli Oscar per il documentario Murderball. Si scaglia contro «le fratture che il web ha creato in una dimenticata interazione tra le persone ». E spiega: «Io, cresciuto con la tecnologia, ho voluto parlare di generazioni diverse. Quelle che con fatica hanno cercato di capire e usa re gli strumenti moderni e quelle che le hanno fatte proprie sin da piccoli».

Rubin dice di aver portato sullo schermo la verità di gente comune. «Per questo ho intervistato centinaia di persone analizzando, per arricchire gli spunti della sceneggiatura, il loro modo di connettersi e utilizzare computer e altro. E’ innegabile: viviamo ormai in una dimensione comune di schizofrenia, tutti incerti tra il mondo digitale e quello reale. Soltanto tra molti anni sarà davvero possibile analizzare le conseguenze di tutti i cambiamenti delle nostre esistenze».

Il piacere, l’utilità e i pericoli del web servono a tutti i personaggi per spiegare come la verità dei contatti umani più profondi o superficiali sia stata ormai modificata e contaminata dal digitale. La smania di essere perennemente in contatto appare come una sorta di cancro quotidiano. Il protagonista Jason Bateman interpreta un avvocato, schiavo del lavoro (e del telefonino) che trascura moglie e figli. Sarà travolto da una tragedia familiare legata al web. «Ci sono elementi molto seri nelle storie che si intrecciano – spiega l’attore – A esempio, nel film ho un figlio adolescente vittima del bullismo in rete. Questo mette in crisi la famiglia. La tecnologia ha conseguenze impreviste anche nei rapporti tra genitori e figli».

Nel film sono rappresentate diverse classi sociali. Alcune riprese sono state girate nelle scuole frequentate dai giovani interpreti e la lunga esperienza da documentarista del regista si evidenzia anche nei dialoghi spontanei. «Perché – spiega Rubin – ogni attore ha portato nell’intreccio le sue esperienze e il suo modo di connettere la vita vera con quella generata dai contatti digitali».

Sembrano ormai profetiche le parole di Tom Hanks che alla presentazione di C’è posta per te, disse: «Sempre più il mondo e le relazioni muteranno a causa delle comunicazioni via computer e dei nuovi marchingegni della tecnologia moderna. Prevedo, e non so quanto sia una cosa positiva, che vivremo sempre più attaccati a un telefonino e una scatola nera che ha trasformato il mondo». Era il 1998.

Corriere della Sera, 8 gennaio 2014